Houses of the Holy
Led Zeppelin
Copertina di Hipgnosis
C’è un prima e un dopo Houses of the Holy nella storia visiva dei Led Zeppelin. Dopo quattro album privi di titolo e di qualsiasi indizio grafico oltre al simbolo – ormai iconico – inciso su “Led Zeppelin IV”, la band compie una svolta: Houses of the Holy è il primo disco con un titolo vero e proprio. Ma non lo troverete in copertina. L’immagine che la avvolge è sconcertante e ipnotica: bambini nudi, dai lunghi capelli biondi, arrampicati su una scalinata di pietra che sembra emergere da un mondo alieno. Nessuna scritta, nessun logo, solo un’atmosfera da sogno apocalittico. Una visione che si imprime nella memoria e che vinse nel 1974 il Grammy Award per la miglior copertina. Dietro questa immagine emblematica c’è il genio dello studio Hipgnosis, alla prima collaborazione con i Led Zeppelin. L’idea vincente non fu di Storm Thorgerson, celebre cofondatore dello studio, ma del suo socio Aubrey Powell. Anzi, fu proprio una proposta bizzarra di Thorgerson – un campo da tennis elettromagnetico – a far irritare Jimmy Page e a estrometterlo dal progetto. Il compito ricadde interamente su Powell, che scelse di ispirarsi al romanzo di fantascienza Childhood’s End di Arthur C. Clarke, dove i bambini della Terra abbandonano il pianeta, attratti da una luce cosmica. Per realizzare questa visione, Powell cercò uno scenario naturale che evocasse mistero e mitologia. Su suggerimento del cantante Robert Plant, fu scelta la Giant’s Causeway nell’Irlanda del Nord, un’imponente formazione rocciosa composta da oltre 40.000 colonne di basalto esagonale: un paesaggio che pare scolpito dagli dei o – secondo la leggenda – da un gigante irlandese di nome Finn McCool. La scelta fu tutt’altro che comoda: novembre, piogge incessanti, vento tagliente, condizioni climatiche estreme. Inizialmente si prevedeva di fotografare una famiglia intera. Ma le riprese si rivelarono così difficili che, dopo giorni di tentativi falliti, Powell optò per una soluzione più visionaria: fotografò separatamente i fratellini Stefan e Samantha Gates, di 5 e 7 anni, sfruttando la loro somiglianza per replicarli più volte. L’immagine finale è un collage composto da 30 scatti in bianco e nero, poi colorati a mano in studio da Phil Crennell. Un errore tecnico aggiunse il tocco definitivo: un’inattesa tonalità magenta, ottenuta per sbaglio, sostituì l’oro e l’argento previsti inizialmente – e piacque così tanto da diventare definitiva. La copertina è un gioco di simmetrie e moltiplicazioni: 11 bambini appaiono come in un’ascensione, verso una vetta incandescente, in un paesaggio alieno e spirituale. L’immagine sembra sospesa tra innocenza e inquietudine, tra luce salvifica e simbologie occulte. Non a caso, il retro dell’album mostra un uomo nudo che solleva la piccola Samantha verso un fascio di luce, ai piedi del Dunluce Castle, un castello medievale in rovina. La scena, potente e ambigua, è stata letta da alcuni come un richiamo a riti sacrali, se non addirittura satanici. D’altronde, l’alone di mistero che circondava la band e, in particolare, Jimmy Page – noto per il suo interesse per l’occultismo e per Aleister Crowley – contribuì ad alimentare interpretazioni simboliche e teorie esoteriche. Lo stesso titolo dell’album, Houses of the Holy, ha almeno tre possibili letture: il palco come casa del sacro, ogni individuo come “dimora dello spirito”, oppure – secondo alcuni fan – un riferimento criptico alle case abitate da Crowley, tra cui la Boleskine House sul Loch Ness e l’Abbazia di Thelema in Sicilia. Powell stesso ammette che Page e il manager Peter Grant non furono subito entusiasti della copertina. Ma alla fine, dopo mesi di ritardi e un budget illimitato, l’immagine fu accettata. Il disco fu pubblicato con una fascia esterna sigillata, necessaria per evitare polemiche sulla nudità infantile. Soluzione che anticipa, in modo curioso, le polemiche ben più famose che coinvolgeranno “Nevermind” dei Nirvana vent’anni dopo. E se l’album segnava anche una svolta musicale – più funk, più psichedelia, meno blues – la sua immagine visiva diventava un totem culturale. Non solo una copertina, ma una soglia aperta verso una dimensione altra. Una delle più celebri mai realizzate nella storia del rock. Oggi, Stefan Gates è uno chef televisivo della BBC, Samantha vive in Sudafrica con i suoi figli. Lui ha dichiarato che per anni ha trovato l’immagine inquietante, ma oggi la considera un portafortuna. Anzi, ha raccontato che vorrebbe tornare sul Giant’s Causeway, spogliarsi e riascoltare il disco a tutto volume. Per ora si è limitato a una visita vestito, ma non escludiamo colpi di scena.


